2013-03-27

Musica/silenzio



Pensando al rapporto tra musica e silenzio



Ho da alcuni anni sperimentato e  un poco compreso l’importanza del silenzio; quello profondo, assoluto mi verrebbe da dire, ben sapendo che non esiste, o quello “naturale” interrotto dai tarli del legno e dal frusciare delle fronde degli alberi mosse dal vento.

Inizio ad "ascoltarlo" quando, nel 2002, mi trasferisco nel centro storico di un paesino al confine tra liguria e piemonte.

Diversi anni prima avevo iniziato a notare, dapprima con stupore poi sempre più chiaramente, di essere maggiormente  attratto ed emozionato dai brani immoti: statica rappresentazione di spazi e profondità marine, l'epitomatico Schuberthiano Meeres Stille su testo di Goethe, o di spazi siderali, e mortiferi,  riflessioni dell’anima e sordo rimuginare sulle proprie paure.

Ho sempre faticato con la musica minimale non la musica con dinamiche ridotte, con improvvise aperture su lande timbriche sterminate, laddove l’aspetto ritmico viene nascosto sotto la superficie di una musica timbricamente scintillante, musica quale rappresentazione di spazi estesi in profondità.



Primavera 2011 : “Se la registrazione e la riproduzione meccanica hanno aperto le porte del pluralismo musicale, la riproduzione digitale l’ha esteso al punto da invertire la tendenza. Abbiamo tutta la musica del mondo sul nostro iPod. Adesso il problema è “la musica degli altri”, che dovrebbe incuriosirci molto: suonata nei bar e nei negozi prende un aspetto coercitivo. L’iPod è l’oggetto che dobbiamo comprare per non rimanere indifesi contro la musica semre più scadente usata per farci comprare roba: l’abbraccio mortale del tardo capitalismo in forma sonora.

Rimane un alternativa radicale: una sorta di “grande rifiuto” di obbedire all’oscura ingiunzione sociale che ci condanna ad una vita di ascolto. Il silenzio. La parola suggerisce la tortura dell’isolamento forzato o una morte sociale d’ispirazione monastica … 

...Ma è stato John Cage a mostrare che “il silenzio non esiste” e che ascoltare l’assenza di suoni rivolti ad un ascoltatore era molto più profondo ed eroico … Oggi, in condizioni di relativa libertà, possiamo ascoltare 4’33” a casa o sul nostro iPod e il cambiamento di attenzione che richiede è l’esatto opposto dell’attuale infinita comunione con la musica... 

...E se provassimo a non ascoltare nulla? Il silenzio è l’elemento del nostro mondo rumoroso che apprezziamo meno e che minacciamo di seppellire, brano dopo brano. Il silenzio è l’esperienza musicale più a rischio della nostra epoca. Aumentandolo potremmo scoprire cosa stiamo cercando di soffocare con tutta questa musica, cosa non abbiamo la forza di sentire.” *



*Niki Savall, Wall Of Sound, n+1 come tradotto sul n. del 22/28 aprile 2011 di Internazionale (n. 894 anno 18)



Ascolti:

  • Franz Schubert, Meeres Stille  (su testo di J. Goethe) nell’edizione Deutche Grammophon. Dietrich Fische-Dieskau (bar), Gerald Moore (p)
  • John Cage, 4’33’’
  • Gil Evans, Barbara Song (Kurt Weill, Bertold Brecht) - dall’album The Individualism Of Gil Evans, Verve, 1963-64

Tempo di classifiche (in jazz)

LYM inizia oggi, sul filo di dicembre, la collaborazione con Gianni Montano; critico musicale, musicofilo appassionato e prima di tutto amico sincero. Lo ringrazio per questo regalo e per tutti gli altri che avrà il tempo e la voglia di elargirci. Ci racconta qui, con la competenza, l'arguzia e la sottile ironia che lo contraddistinguono, di come dicembre sia, tra l'altro, stagione di classifiche in musica. Classifiche nelle quali è direttamente coinvolto, ma dalle quali riesce anche  prendere un olimpica distanza che grandemente apprezziamo
Grazie ancora Gianni alla prossima. 


Tempo di classifiche (In jazz) - re-post

Dicembre è il mese delle classifiche. Fra pochi giorni sarà online Musica & Dischi con due graduatorie distinte. Una è riservata ai cd pubblicati in Italia, l'altra agli album di etichetta straniera. Quasi mai il vincitore su Musica & Dischi ha ottenuto uguale risultato nel referendum più importante del settore, quello di Musica jazz, la decana delle riviste italiane del ramo. Così, per provarci, azzardo qualche pronostico. Teniamo conto che a votare sono non più di 15 giornalisti italiani, pur fra i più autorevoli. C'è parecchia parcellizzazione nelle preferenze, di solito. Potrebbe vincere Rava con il suo “On the dance floor” ( ECM), dedicato alle hit di Michael Jakson,  fra le pubblicazioni straniere, mentre per le case discografiche italiane potrebbero farcela Mauro Ottolini con il suo brillantissimo “Bix factor”, dove il dixieland incontra il sound di oggi, oppure “Seven” della gloriosa accoppiata, padre e figlio, Dino e Franco Piana, attorniati da una all stars nostrana di tutto rispetto.

Lasciamo una consultazione di nicchia per dedicarci al top jazz, creatura di Arrigo Polillo, storico direttore del mensile Musica jazz, ripensato e nazionalizzato sotto la gestione di Filippo Bianchi, che ritorna alla formula originaria per opera del nuovo responsabile, Luca Conti. Qui i chiamati ad esprimersi sono molti di più, oltre i cinquanta e il verdetto appare più agevole, si fa per dire, da prevedere.
Cominciamo dal musicista dell'anno. Enrico Rava ha suonato un po' dappertutto con i suoi tre progetti ( il quintetto Tribe, il tributo a Michael Jakson e il duo con Bollani), ottenendo ovunque resoconti più che positivi. E' in gran forma, malgrado i 73 anni suonati ( è il caso di scriverlo). Sprizza idee ed energia da tutti i pori. Dovrebbe vincere per distacco. Per il podio lotteranno lo stesso Bollani, e gli “ovunquesuonanti” Fabrizio Bosso e Francesco Bearzatti, solisti di livello internazionale.
Fra i gruppi sarà battaglia ancora fra “Tribe” di Enrico Rava, il “Tinissima quartet” di Bearzatti e Falzone che ha girato per l'Italia e non solo con “Monk and roll”, progetto che  sfocerà in un disco già pronto da tempo, ma non ancora edito. Terzo incomodo il quartetto di Franco D'Andrea, un nome sicuro.
Negli album lo stesso D'Andrea potrebbe sbaragliare tutti con il doppio cd “Traditions and clusters”, dove figurano i suoi fedelissimi accanto a Ottolini, D'Agaro e Bennink, di “El gallo rojo”, un collettivo di musicisti intelligenti e pronti a spaccare il jazz per andare, anche, altrove. Non trascurerei, però, “E(X)stinzione”, per la sua valenza sociale, poetica, ma soprattutto musicale con l'Enten eller orchestra, fra archi, solisti ospiti prestigiosi come Schiaffini e Actis Dato e arrangiamenti ben curati da Alberto Mandarini. Il terzo incomodo può risultare anche qui “Bix factor”, di cui si è già detto, ma anche “Seven” ha le sue brave chances.
Non dovrebbe sfuggire a Mattia Cigalini la palma come nuovo talento. Tutti parlano bene di questo ragazzo come sassofonista, ma non bisogna dimenticare le sue doti di compositore. Gli ousider sono Marta Raviglia, una cantante modernissima, fra contemporaneo, folk e jazz d'avanguardia e il pianista e trombettista Dino Rubino, che compare in diversi cd e ogni volta se ne lodano le caratteristiche. Quarto incomodo è un altro tastierista, Claudio Filippini, anche lui in evidenza in diverse compagnie.
Sul fronte internazionale non ci sono dubbi. Le uscite discografiche più attese e osannate sono l'ECM “Snake oil” di Tim Berne e “Tomorrow sunny/the reverly” di Henry Threadgill. Il debutto per l'etichetta tedesca del quartetto di Tim Berne riporta in alto il sassofonista, dopo una flessione, pur minima, degli ultimi anni. Threadgill comanda, invece, un gruppo “Zooid” coeso e in linea con le sue teorie e idee da parecchio tempo. Potrebbe trionfare Berne, perchè è stato più ascoltato e pubblicizzato. Threadgill sarà, comunque, sul podio. Fra gli altri dischi usciti quest'anno il quadruplo di Wadada “Teen freedom summers” non potrà ambire a molto. Quanti lo hanno sentito? D'accordo Dalla Bona su MJ ha usato il vocabolo “capolavoro”, per descrivere la fatica di Leo Smith, ma resta la scarsa esposizione mediatica a nuocere all'ultimo box del trombettista. Più facile che si piazzi bene Mary Halvorson con “Bending bridges”, ottimo cd del suo quintetto. La sorpresa o la conferma potrebbe arrivare da “Accelerando” di Vijay iyer, disco non trascendentale ma che ha occupato le copertine dei settimanali specializzati. Eppoi c'è l'effetto alone. ViJay Iyer ha trionfato nel referendum di “Down Beat”, creando un consenso generalizzato di rimando. Anche David S.Ware ( recentemente scomparso) con “ Live at saafelden” ha delle possibilità, cosiccome i grossi nomi dell'ECM, Surman con “Saltash bells” o Louis Sclavis con l'Atlas trio. Non dimentichiamo il postumo di EST “301” di cui parecchi hanno scritto e positivamente.
Si candida a musicista dell'anno ancora Rollins, come ultimo sopravvissuto di un jazz senza tempo.
Berne e Threadgill dovrebbero figurare anche in questa classifica, come ViJay Iyer e Keith Jarrett. Non dimentichiamo Rob Mazurek, grazie alla sua iper produzione e presenzialismo  e John Zorn, idem come sopra, che si è imposto, però, con il bel “Rimbaud”, un cd che lo riscatta dopo molte prove interlocutorie. Anche Braxton sarà nei primi dieci, in virtù della tournèe italiana di ottobre.
Il quartetto di Wayne Shorter dovrebbe mettere tutti d'accordo per la formazione dell'anno. Il sassofonista sente il peso degli anni, ma è trascinato da intraprendenti e ferratissimi partners con Jorge Rossy che ha preso temporaneamente il posto di Brian Blade alla batteria. Subito dietro lo “Standards trio” di Keith Jarrett in giro quest'estate nel nostro paese e ancora “Zooid” di Threadgill. Dovrebbe comparire anche il trio di Ahmad Jamal, osannato per le sue esibizioni primaverili e per il cd “Blue moon”, dovunque accolto da giudizi positivi.
Fra i nuovi talenti Mary Halvorson raccoglierà voti dagli avanguardisti, Hiromi ( comunque una grande pianista) dai meno “arrischianti”. Dovrebbero contendersi i primi due posti. Outsider possono considerarsi la cantante della “ACT” You sun nah e Angelica Sanchez, tastierista di Leo Smith e Rob Mazurek, oltre che titolare di un proprio quintetto.
Resta da discutere sull'utilità e sull'attendibilità di queste classifiche. A livello assoluto non servono a  un granchè. Non sono neppure troppo attendibili, se pensiamo, ad esempio, che alcuni musicisti di valore non hanno conseguito risultati importanti, a scapito di altri meno dotati. Un caso per tutti, in ambito italiano: la vittoria di Pietro Condorelli come nuovo talento davanti al ben più capace Umberto Petrin. Prendiamolo come un grande gioco, come una miccia adatta ad innescare dibattiti e discussioni o vere e proprie querelles. E noi “malati” di jazz viviamo o ci curiamo anche con questo....
  Gianni Montano